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Cassazione Penale, Sez. IV, Sentenza n. 3982/2021.
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Con la presente sentenza, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia avverso un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari, con la quale veniva rigettata – a seguito della relazione peritale – la richiesta di incidente probatorio (per cui era già stato adottato provvedimento ammissivo) avanzata dalla difesa dell’indagato a seguito di riserva formulata ex art. 360, comma quarto, c.p.p., chiarendo se il provvedimento de quo possa considerarsi abnorme.
Va premesso che l’accertamento tecnico irripetibile promosso dal Pubblico Ministero (avverso il quale la difesa dell’indagato formulava riserva di promuovere incidente probatorio) consisteva nell’esame autoptico di diverse salme – previa estumulazione – in relazione a decessi intervenuti in un determinato arco temporale. Ammesso l’incidente probatorio, il Giudice formulava un quesito al perito volto a comprendere se – tenendo conto del tempo trascorso dalla sepoltura – l’accertamento autoptico consentisse di rilevare l’eventuale esistenza all’epoca del decesso del virus SARS CoV2 o della malattia Covid-19, fornendo a tal proposito indicazioni medico-legali ulteriori e univocamente interpretabili sotto il profilo tecnico-scientifico rispetto a quanto già emergente dalle cartelle cliniche. In risposta al quesito formulato, il perito affermava di non poter fornire un parere preciso in merito alla possibilità di ottenere dall’esame autoptico un risultato utile, sia per la mancanza di una legge scientifica di copertura in merito a indagini su cadaveri decorsi mesi dalla loro inumazione, sia per la non esatta conoscenza di una serie di dati fattuali, come lo stato di decomposizione, l’ambiente di sepoltura, la profondità dell’inumazione, la temperatura, l’umidità, gli effetti climatici delle stagioni trascorse.
Sulla base di queste considerazioni, il Giudice – tenuto conto dei rischi per la salute degli operatori e per la collettività legati alla estumulazione, del costo considerevole di tali operazioni e del rischio di prolungare i tempi di indagine attraverso atti non idonei a fornire elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio – valutava che l’estumulazione dei corpi (finalizzata all’esame autoptico) non avrebbe condotto ad alcun tipo di risultato utile.
Con l’ulteriore precisazione che l’accertamento richiesto non avrebbe consentito di ottenere risultanze probatorie sufficienti in ordine alla responsabilità penale degli indagati, sia per il difficoltoso accertamento della riferibilità causale dell’evento morte delle persone offese all’infezione da Covid-19, secondo una legge scientifica di copertura avente natura universale o solo probabilistica in senso statistico, sia per la difficoltà di sostenere che l’infezione fosse da attribuire sotto un profilo soggettivo alla condotta degli indagati, considerata la condizione di emergenza in cui versava il sistema sanitario nazionale a fronte dell’emergenza pandemica.
Nel suo ricorso il Procuratore della Repubblica ha sostenuto che l’ordinanza impugnata fosse affetta da abnormità, sia sotto il profilo strutturale che funzionale. Sotto il profilo strutturale perché il Giudice avrebbe emesso un provvedimento eccentrico rispetto a quelli previsti, dapprima ammendo l’incidente probatorio e successivamente rigettando la medesima richiesta, anziché procedere con la revoca dell’ordinanza precedentemente emessa. Sotto il profilo funzionale perché il Giudice – nonostante avesse esercitato un potere astrattamente previsto dalla disciplina processuale – anziché valutare se la richiesta di incidente probatorio rientrasse o meno in uno dei casi di cui all’art. 392 c.p.p., o secondo i criteri di cui all’art. 190 c.p.p., per l’ammissione delle prove, aveva preso in esame il bilanciamento dei valori in gioco, l’utilità e concludenza della prova rispetto all’accertamento della responsabilità penale degli indagati. Ciò avrebbe portato a un’anticipazione del giudizio sulla valutazione della prova che – a parere del ricorrente – andrebbe espresso solo dopo il suo esperimento. Preliminarmente, la Corte ha ribadito – conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – quella che è la nozione di provvedimento “abnorme”, ossia di quel provvedimento che – pur a fronte delle regole generali della tipicità e tassatività dei casi di nullità (art. 177 c.p.p.) e dei mezzi di impugnazione (art. 568 c.p.p., comma 1) – risulti affetto da vizi in procedendo o in iudicando così singolari da risultare imprevedibili per il legislatore, il quale non li ha potuti regolamentare. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, laddove l’atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, laddove esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 21509401).
Ciò premesso, la Corte – nel dichiarare inammissibile il ricorso – ha ritenuto che l’ordinanza impugnata non presentasse profili di abnormità, evidenziando innanzitutto come l’art. 398, comma primo, c.p.p., preveda unicamente che la richiesta di incidente probatorio possa essere accolta, dichiarata inammissibile o rigettata dal Giudice, senza nulla aggiungere in ordine alla impugnabilità del provvedimento; impugnabilità che deve essere pertanto esclusa nel rispetto del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.
Con riguardo alla dedotta abnormità strutturale, ai sensi del combinato disposto dell’art. 398, comma primo, c.p.p., art. 401, comma quarto, c.p.p., art. 190, comma primo, c.p.p., e art. 495, comma quarto, c.p.p., al Giudice per le Indagini Preliminari non è consentito adottare nuovi provvedimenti su questioni relative all’ammissibilità e alla fondatezza della richiesta di incidente probatorio, ma è consentito, dopo aver emesso il provvedimento di ammissibilità, acquisire elementi utili al giudizio che inerisce alla fondatezza con specifico riguardo al profilo concernente l’utilità e la rilevanza della prova. L’atto impugnato non è dunque estraneo al sistema processuale, trattandosi di un atto pienamente conforme al modello generale di decisione che il Giudice per le Indagini Preliminari può adottare nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione dell’utilità della prova (Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020, P., Rv. 27960401).
Con riguardo invece alla dedotta abnormità funzionale, non sarebbe ravvisabile alcuna stasi del procedimento, ben potendo il Pubblico Ministero – al quale vengono restituiti gli atti a seguito del rigetto dell’istanza di incidente probatorio – proseguire regolarmente con l’attività di indagine. Secondo la Corte, il procedimento che consente alla difesa – ex art. 360, comma quarto, c.p.p. – di convogliare nell’incidente probatorio un accertamento tecnico irripetibile (ma differibile) ha infatti anche la funzione di sottoporre al vaglio anticipato del Giudice il giudizio circa l’utilità e la concludenza della prova cui tende l’atto d’indagine.
Va premesso che l’accertamento tecnico irripetibile promosso dal Pubblico Ministero (avverso il quale la difesa dell’indagato formulava riserva di promuovere incidente probatorio) consisteva nell’esame autoptico di diverse salme – previa estumulazione – in relazione a decessi intervenuti in un determinato arco temporale. Ammesso l’incidente probatorio, il Giudice formulava un quesito al perito volto a comprendere se – tenendo conto del tempo trascorso dalla sepoltura – l’accertamento autoptico consentisse di rilevare l’eventuale esistenza all’epoca del decesso del virus SARS CoV2 o della malattia Covid-19, fornendo a tal proposito indicazioni medico-legali ulteriori e univocamente interpretabili sotto il profilo tecnico-scientifico rispetto a quanto già emergente dalle cartelle cliniche. In risposta al quesito formulato, il perito affermava di non poter fornire un parere preciso in merito alla possibilità di ottenere dall’esame autoptico un risultato utile, sia per la mancanza di una legge scientifica di copertura in merito a indagini su cadaveri decorsi mesi dalla loro inumazione, sia per la non esatta conoscenza di una serie di dati fattuali, come lo stato di decomposizione, l’ambiente di sepoltura, la profondità dell’inumazione, la temperatura, l’umidità, gli effetti climatici delle stagioni trascorse.
Sulla base di queste considerazioni, il Giudice – tenuto conto dei rischi per la salute degli operatori e per la collettività legati alla estumulazione, del costo considerevole di tali operazioni e del rischio di prolungare i tempi di indagine attraverso atti non idonei a fornire elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio – valutava che l’estumulazione dei corpi (finalizzata all’esame autoptico) non avrebbe condotto ad alcun tipo di risultato utile.
Con l’ulteriore precisazione che l’accertamento richiesto non avrebbe consentito di ottenere risultanze probatorie sufficienti in ordine alla responsabilità penale degli indagati, sia per il difficoltoso accertamento della riferibilità causale dell’evento morte delle persone offese all’infezione da Covid-19, secondo una legge scientifica di copertura avente natura universale o solo probabilistica in senso statistico, sia per la difficoltà di sostenere che l’infezione fosse da attribuire sotto un profilo soggettivo alla condotta degli indagati, considerata la condizione di emergenza in cui versava il sistema sanitario nazionale a fronte dell’emergenza pandemica.
Nel suo ricorso il Procuratore della Repubblica ha sostenuto che l’ordinanza impugnata fosse affetta da abnormità, sia sotto il profilo strutturale che funzionale. Sotto il profilo strutturale perché il Giudice avrebbe emesso un provvedimento eccentrico rispetto a quelli previsti, dapprima ammendo l’incidente probatorio e successivamente rigettando la medesima richiesta, anziché procedere con la revoca dell’ordinanza precedentemente emessa. Sotto il profilo funzionale perché il Giudice – nonostante avesse esercitato un potere astrattamente previsto dalla disciplina processuale – anziché valutare se la richiesta di incidente probatorio rientrasse o meno in uno dei casi di cui all’art. 392 c.p.p., o secondo i criteri di cui all’art. 190 c.p.p., per l’ammissione delle prove, aveva preso in esame il bilanciamento dei valori in gioco, l’utilità e concludenza della prova rispetto all’accertamento della responsabilità penale degli indagati. Ciò avrebbe portato a un’anticipazione del giudizio sulla valutazione della prova che – a parere del ricorrente – andrebbe espresso solo dopo il suo esperimento. Preliminarmente, la Corte ha ribadito – conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – quella che è la nozione di provvedimento “abnorme”, ossia di quel provvedimento che – pur a fronte delle regole generali della tipicità e tassatività dei casi di nullità (art. 177 c.p.p.) e dei mezzi di impugnazione (art. 568 c.p.p., comma 1) – risulti affetto da vizi in procedendo o in iudicando così singolari da risultare imprevedibili per il legislatore, il quale non li ha potuti regolamentare. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, laddove l’atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, laddove esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 21509401).
Ciò premesso, la Corte – nel dichiarare inammissibile il ricorso – ha ritenuto che l’ordinanza impugnata non presentasse profili di abnormità, evidenziando innanzitutto come l’art. 398, comma primo, c.p.p., preveda unicamente che la richiesta di incidente probatorio possa essere accolta, dichiarata inammissibile o rigettata dal Giudice, senza nulla aggiungere in ordine alla impugnabilità del provvedimento; impugnabilità che deve essere pertanto esclusa nel rispetto del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.
Con riguardo alla dedotta abnormità strutturale, ai sensi del combinato disposto dell’art. 398, comma primo, c.p.p., art. 401, comma quarto, c.p.p., art. 190, comma primo, c.p.p., e art. 495, comma quarto, c.p.p., al Giudice per le Indagini Preliminari non è consentito adottare nuovi provvedimenti su questioni relative all’ammissibilità e alla fondatezza della richiesta di incidente probatorio, ma è consentito, dopo aver emesso il provvedimento di ammissibilità, acquisire elementi utili al giudizio che inerisce alla fondatezza con specifico riguardo al profilo concernente l’utilità e la rilevanza della prova. L’atto impugnato non è dunque estraneo al sistema processuale, trattandosi di un atto pienamente conforme al modello generale di decisione che il Giudice per le Indagini Preliminari può adottare nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione dell’utilità della prova (Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020, P., Rv. 27960401).
Con riguardo invece alla dedotta abnormità funzionale, non sarebbe ravvisabile alcuna stasi del procedimento, ben potendo il Pubblico Ministero – al quale vengono restituiti gli atti a seguito del rigetto dell’istanza di incidente probatorio – proseguire regolarmente con l’attività di indagine. Secondo la Corte, il procedimento che consente alla difesa – ex art. 360, comma quarto, c.p.p. – di convogliare nell’incidente probatorio un accertamento tecnico irripetibile (ma differibile) ha infatti anche la funzione di sottoporre al vaglio anticipato del Giudice il giudizio circa l’utilità e la concludenza della prova cui tende l’atto d’indagine.
Ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio intervenuta successivamente alla sua ammissione: atto abnorme da parte del Giudice per le Indagini Preliminari?